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La cantina di Montù

Il nostro storico edificio

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Lasciandosi alle spalle Stradella, fiorente centro oltrepadano dotato di un casello autostradale sulla Torino-Piacenza, si imbocca la Valle Versa lungo una strada che corre abbracciata da vigneti che scendono ordinati lungo pendii a volte erti e altre dolci e ondulati. Basta un paio di chilometri per incontrare, sulla sinistra, il primo cartello che indica l’abitato di Montù Beccaria, un comune che oggi conta poco meno di duemila anime. Qui, aggrappata alla collina, compresa tra due tratti della strada che volge su se stessa per vincere l’erta pendenza, sorge la storica distilleria-cantina che fu progettata su tre piani, all’inizio del secolo, dall’ingegnere milanese Angelo Omodeo. E’ una costruzione ardita che racchiude l’intelligenza di un’epoca in cui l’energia era scarsa e costosa e quindi se ne pensava una più del diavolo per sfruttare al massimo quella forza di gravità che è disponibile per tutti gratuitamente, anche perché nessun governo ha mai pensato di tassarla. Il porticato in abete rosso che orna la facciata superiore, è preposto all’accoglienza dei visitatori, gli imponenti tetti a capriata e i soppalchi poderosi, rendono il legno il vero re della costruzione, lavorato in modo mirabile. Si sposa con il mattone rosso delle fornaci di Stradella degli albori del nostro secolo. E il legno ancora si esprime, rendendo l’ambiente caldo e amichevole, nei grandi tini di rovere di slavonia e nelle botti dall’enorme ventre. Nel recupero attento e rispettoso della storia che è stato eseguito, tutta la parte strutturale è stata mantenuta e riportata agli antichi splendori, compresi, in congrua aliquota, i tini e le botti, seppure con il cambio di destinazione decretato dai tempi. I tini sono stati trasformati in salotti da conversazione, spazi incantati per incontri conviviali intimi e di grande suggestione, le botti in spazi espositivi. L’uso delle piastrelle di vetro che, fissate alle pareti della vasche in muratura, le trasformavano in specie di gigantesche bottiglie, con il restauro dell’edificio le vasche sono state aperte e vengono adibite a suggestive sale di invecchiamento. Ospiti, studiosi o semplici amanti della civiltà del vino possono quindi addentrarsi in questo frammento insolito di archeologia industriale. La mirabile sintesi tra soluzioni tecniche e raffinatezza costruttiva, veramente insolita per quell’epoca in cui il vino aveva una valenza prettamente alimentare e quindi i creatori d’immagine venivano lasciati in altri ambiti, trovava un altro punto focale nel locale tinaia dove due ordini di slanciate colonne ornate da capitello sorreggevano un soffitto a voltine di notevole suggestione. Oggi la splendida sala ospita gli alambicchi di una delle più preziose distillerie che l’Italia possa vantare.

Nell’impero del Pinot nero attraverso la porta dei sogni Per gli abitanti della padania, attraversare il Po nel triangolo di congiunzione di Piemonte, Liguria, Emilia e Lombardia è stato da sempre una specie di sogno verso l’avventura, verso la scoperta di mondi nuovi o la riscoperta di tradizioni troppo spesso sacrificate sull’altare dell’inarrestabile marcia verso la modernità tipica delle società urbanizzate. Solo la suggestione può infatti avere indotto, nel corso della storia, tante genti a fare dell’Oltrepo, terra non ricca e non poco travagliata, una meta. Liguri e Galli sono i primi abitanti che hanno lasciato segni tangibili della loro residenza, poi, nel 222 a.C., i Romani riuscirono a sottomettere l’Oltrepo dopo una lunga resistenza dei Galli. Non tutto il male viene però per nuocere, perché i conquistatori, come d’abitudine, pensano subito a costruire una buona rete viaria che favorisce lo sviluppo di queste terre anche sotto il profilo enologico. L’arrivo dei barbari creò, come ovunque, il periodo buio del Medioevo in cui la vite si rifugiò nei monasteri per uscirne solo in epoca più tarda, quando i signorotti, costruendo castelli e rafforzando presidi, pur nella guerra perenne che vedeva gli uni contro gli altri armati, riuscivano a difendere i vigneti.

Il successivo avvicendarsi delle dominazioni di famiglie diverse (Malaspina, Visconti, Beccaria, Dal Verme, Sforza e via discorrendo) e addirittura di stati differenti (Francia, Spagna, Ducato di Milano e Austria) non era più di tanto piacevole, ma dette agli abitanti dell’Oltrepo Pavese la possibilità di venire a contatto con culture sconosciute e quindi di trarne, anche in campo ampelografico, i dovuti benefici. Quasi a metà del XVIII secolo, con la concessione di Maria Teresa d’Austria a Carlo Emanuele III per l’appoggio dato nella guerra contro i Francesi, l’Oltrepo Pavese divenne provincia del dominio dei Savoia ed ebbe come capoluogo Voghera. Solo nel 1860 tornò a far parte della Lombardia.

Una storia avvincente che, da sola, riesce a spiegare il perché l’Oltrepo di oggi è un vero giacimento di tradizioni preziose e soprattutto golose, che meritano senza ombra di dubbio un viaggio. Lasciandosi alle spalle il fiume Po e procedendo verso sud, la prima parte dell’Oltrepo è pianeggiante e, di sovente, è ovattata di nebbia. In essa il terreno è fertile e, forse per questo, non si coltiva la vite. E non la si coltiva neppure nella parte più meridionale dove avanza la montagna.

I nostri impianti produttivi

Non si tratta di un impianto megagalattico con svettanti colonne, ma di tamburlani a misura d’uomo che, progettati operando un selettivo recupero delle tecnologie del passato attraverso le moderne conoscenze, racchiudono una specie di sintesi storica di notevole interesse. La filosofia che sta alla base del progetto è naturalmente rivolta alla qualità nell’accezione di ottenere in lambicco la quintessenza di ciò che Madre natura produce in natura. Il motivo conduttore che ha ispirato la progettazione dell’impianto è stato indotto dalla forte convinzione di trasferire in una bottiglia i mirabili aromi che vengono sintetizzati dalla pianta e di quelli che si formano nel corso della fermentazione alcolica. In parole povere l’alambicco di Mafalda è lo strumento con il quale il mastro distillatore scolpisce il profilo sensoriale del futuro spirito esaltando le caratteristiche intrinseche della materia prima. Ecco, dunque, il ritorno alla distillazione con l’antico sistema del ripasso, seppure in chiave moderna: prima l’ottenimento di una flemma di basso grado alcolico, poi la ridistillazione medesima in due lenti alambicchi bagnomaria in rame con la separazione delle teste e delle code eseguite a mano.

L’acquavite nasce dunque in questo modo che ripercorre i passi degli studiosi del Rinascimento, quando la colonna non era ancora apparsa nel sogno di chi voleva distillare molto e in fretta. Durante il lento riscaldarsi delle flemme al dolce calore del bagnomaria, si formano infatti centinaia di nuove molecole dall’unione di quelle prodotte dalla vite e dai lieviti durante la distillazione. Così il profilo dell’acquavite fa complesso, la sua fragranza aumenta, la persistenza si fa lunga e le ultime note che tardano ad abbandonare il cavo orale richiamano un nuovo sorso. A fianco della distilleria, abbiamo dato vita a un liquorificio attentamente attrezzato, concepito per affiancare tradizione e innovazione nella creazione di prodotti di eccellenza. Qui, tecnici esperti e qualificati, eredi di una sapienza tramandata nel tempo, lavorano con maestria per replicare fedelmente antiche ricette della tradizione e, al contempo, dare forma a nuove creazioni capaci di rispondere ai gusti del consumatore moderno. Ogni nuova ricetta nasce da un attento processo di prototipazione, che combina il rigore tecnico alla creatività artigiana. Con un’attenzione particolare all’evoluzione del gusto e alle esigenze del pubblico, per ogni categoria di prodotto offriamo una versione zero alcol, creata con la stessa cura e passione dedicata ai prodotti tradizionali. Queste varianti analcoliche rappresentano un’opportunità per chi desidera godere di un’esperienza sensoriale piena, senza rinunciare alla complessità e alla qualità che contraddistinguono la nostra produzione. La pari dignità con cui trattiamo le versioni zero alcol testimonia il nostro impegno nel rendere accessibile a tutti l’essenza della nostra arte. Il liquorificio non si limita alla produzione di liquori, ma si distingue anche per la lavorazione di vini aromatizzati, come il Vermouth, espressione raffinata di una tradizione storica che oggi torna a splendere. La gamma dei liquori, completa e versatile, include Aperitivi, Amari e Bitter, pensati per accompagnare ogni momento di convivialità, dall’aperitivo al dopocena.

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La nostra vocazione alla qualità

La lavorazione inizia sempre dalla scelta di materie prime eccellenti, elemento imprescindibile per ottenere prodotti che siano espressione autentica del nostro territorio e della nostra filosofia produttiva. Siamo artigiani che, con pazienza e passione, plasmano ogni goccia di liquore e vino aromatizzato per offrire un'esperienza sensoriale che sappia sorprendere e conquistare. Il nostro liquorificio rappresenta non solo un'estensione della nostra visione, ma un luogo dove passato e futuro si fondono armoniosamente, trasformando essenze naturali e tradizioni antiche in autentiche emozioni da degustare.

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